Testo critico

Mettere insieme le parti. Umberto Corsucci ha poco a che vedere con gli sfinimenti dell’arte concettuale e i rovelli che consumano i giorni degli artisti in cerca affannosa di successo. Parlo di quelli che si sbattano a destra e a sinistra da un gallerista all’altro, da un critico all’altro; i testimonial di un mondo di ideuzze e di illusioni. Un mondo drogato dove il sensazionalismo è tutto e la ricerca quotidiana, operosa e onesta sono meno che nulla. Questo artista, nato a Sassocorvaro nel ’51 dopo aver studiato presso l’Istituto d’arte di Pesaro nel ’70, si è diplomato in scultura a Brera. Insomma, non ha sfruttato le scorciatoie della mondanità e non ha conosciuto le accelerazioni carrieristiche dovute alle facilitazioni nepotistiche o, come si dice oggi, politiche.

Umberto Corsucci vive e lavora in Montefiore Conca, piccolo centro storico posto sulla collina della riviera romagnola, dove ha il suo studio e la sua personale fonderia. Egli, oltre a lavorare indefessamente, proprio qui tiene i suoi corsi di scultura e le relazioni che intrattiene sono di livello internazionale.

Il tratto fondamentale dell’investigazione plastica di questo autore aspira e riesce a dimostrare che non esiste separatezza fra braccio e mente, che la componente artigianale del lavoro dello scultore vale non meno di quella mentale. In altre parole, questo artista romagnolo falsifica (nel senso che smentisce) qualsiasi concezione meccanicamente dualistica che tenda a superare il corpo della mente, lo spirito della materia, il qui d’altrove.

Di questi tempi, questa impostazione che la scultura di Corsucci rende palpabile ha il valore aggiunto di contrastare una deriva che sulla frantumazione della realtà, sull’alienazione, sulla divisione del fare e del sapere fonda le sue fortune.

Non vi è dubbio infatti che un popolo fatto di semplici consumatori che abbiano perduto il senso della complessa unitarietà del proprio essere e del proprio fare non possa essere considerato altro che plebe, anzi non più plebe ma pubblico, pubblico televisivo imbelle e decorticato.

La forza creativa dello scultore impatta il marmo, il bronzo e la ceramica. Interviene per piegare ai suoi scopi plastici i materiali la cui struttura molecolare è più adatta a durare nel tempo. Sfida le esigenze dell’equilibrio, quelle della forma, quelle dello spazio e quelle dell’innovazione che , prese nel loro insieme, configurano un progetto di trasformazione della realtà, portatore di principi etici oltre che estetici.

La collocazione nello spazio delle opere di Umberto Corsucci non è una mera operazione di trasposizione. Lo spazio infatti è funzionale alla sua scultura, così come la scultura è funzionale allo spazio.

E’ anzi lo spazio a dare senso all’ingombro della materia ad alleggerirla quando serve a rimarcarne i volumi quando è necessario.

Basta osservare alcune opere di questo autore per capirlo. Si pensi a Omaggio a Colombo in travertino del 1992, a Porta di mare in bronzo del 1999, a Installazione di un ufo del 2001, in acciaio cortèn e marmo. Fino a Vitalità in ceramica del 2009.

Le ultime opere dell’artista romagnolo, pur riallaciandosi alle precedenti del tipo Installazione di un Ufo, riscoprono il valore di una lucentezza capace di fornire la superficie di un nuovo teatro delle immagini.

Gli effetti riflettenti invadono le superfici cricolari a forma di tubo, all’interno delle quali le forme delle figure e degli oggetti provenienti dall’esterno aprono lo scenario caleidoscopico di uno spazio fantastico. Quello proposto è il piacere di una esplorazione retinica e mentale, di una esperienza sensoriale ma anche psichica capace di mischiare, in una sintesi ardita, le asperità di un oggetto che allude alle spine della vita (del calvario) e la superficie intatta, liscia e luminosa dell’acciaio. Che è come dire tener conto di tutto. Del male e del bene. Delle difficoltà e delle miracolose falicitazioni. Del peso del presente-passato e della speranza-minaccia di un futuro sconosciuto. Del qui e dell’altrove, del sublime , dell’immanente e della materialità di un trascendente che possiamo percepire solo a partire dalla nostra condizione unama.

Roberto Gramiccia